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Fra il Settecento e l'Ottocento cambia il modo di narrarsi. Non più autobiografie intellettuali o professionali alla terza persona, ma lunghe storie alla prima persona, il cui protagonista si racconta partendo dall'infanzia. Questo cambiamento si afferma e si diffonde lungo tutto il secolo: dai grandi autori si passa, man mano, ai borghesi, agli artigiani, agli operai. Cosa c'è dietro questo grande cambiamento? Perché a fine Ottocento anche il più incolto e anonimo degli scriventi si considera degno di fare della propria vita un libro? E perché per raccontarsi si considera sempre più indispensabile partire dall'infanzia e dai suoi sfuggenti ricordi? Questo libro indaga questo grande mutamento culturale. Percorrendo le vite di patrioti, letterati, scalpellini e vetrai mostra in che modo la pratica autobiografica ottocentesca sia il prodotto di una nuova concezione dell'individuo, della laicizzazione della nostra società, dello sviluppo delle scienze della psiche. E di come la più profonda intimità dell'uomo moderno si ripercorra attraverso mappe e piantine: ultime eredi delle arti della memoria, le autobiografie d'infanzia sono delle intime topografie dell'io.
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