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Editore: Castelvecchi
Reparto: Scienza politica
ISBN: 9791256146185
Data di pubblicazione: 07/04/2025
Numero pagine: 326
Si è fin qui e tuttora usato nei confronti dei protagonisti della destra sparsi per più continenti, compreso il nostro, il termine "populismo" per delineare un distorto, ma non meno reale, rapporto con il popolo, basato su promesse demagogiche e sulla esaltazione di un decisionismo governativo rafforzato da un presidenzialismo nelle sue varie forme e accezioni, che lo trasformavano in un populismo autoritario. E si è precisato, perlomeno da parte del pensiero di sinistra, che si era di fronte a un "populismo dall'alto", quasi un ossimoro, per distinguerlo dalle manifestazioni populistiche che hanno caratterizzato la storia del Novecento in varie parti del mondo e che invece partivano "dal basso", cioè da un movimento di popolo che aspirava, seppure confusamente ma con radicalità, a una giustizia sociale [...]. Pur essendo chiara la differenza fra i due tipi di populismo, anche se poi gli esiti finali possono diventare simili e confluire nella rivoluzione conservatrice mossa dalle classi dominanti - di cui abbiamo abbondantemente scritto lungo l'arco di vita di questa rivista -, non credo che la categoria del populismo dall'alto sia sufficiente per inquadrare la figura e l'azione di Trump. È forse opportuno fare ricorso ad un'altra definizione che pure ha origini storiche molto lontane e diverse: quella del nichilismo, ovviamente anch'esso "dall'alto". Il che richiede, a sua volta, di precisare cosa si vuole intendere con questa parola e come questa categoria sia oggi diversa da quelle del passato e assuma una particolare valenza se riferita al capo dello Stato dell'ancora più potente Paese del mondo, pur sospinto lungo una china declinante. Lo fa, ad esempio, Laura Pennacchi scrivendo di nichilismo come "deificazione del vuoto", ovvero come "pulsione alla distruzione di cose e di persone [...] [e della] nozione stessa di verità". Naturalmente questa definizione coglie più di un elemento reale, basta riferirsi alla disinvoltura spinta fino al disinteresse mostrato dal duo Trump-Musk verso la credibilità di loro dichiarazioni e progetti come, ad esempio, la conquista di Marte, visto che ciò che conta per loro è la dominanza nella space economy. Ma, senza contrapporre una definizione all'altra, casomai integrandola, descriverei il nichilismo portato alle sue conseguenze più estreme - cogliendo anche spunti di un dibattito filosofico di qualche decennio fa - come uno schiacciamento finale del valore d'uso di ogni cosa, materiale o immateriale, al valore di scambio. Che altro è se non questo, promettere la pace in Ucraina chiedendo in cambio circa 500 miliardi di dollari in ricercatissime terre rare, così cruciali per lo sviluppo tecnologico su cui si poggia il potere dell'oligarchia tecno-capitalista? Che altro può mai significare - aldilà delle chances di possibile realizzazione - progettare di trasformare la striscia di Gaza, cacciando il popolo palestinese in un indefinito e improbabile altrove, in un luogo di villeggiatura per super ricchi, se non costruire un parco di resort e chiamarlo pace? Cosa di diverso da questo si può dire quando vengono revocati in dubbio i rapporti anche con i più tradizionali alleati, come i vertici dell'Unione europea - persino la supina Meloni ne rimane scossa -, nel quadro di una minacciata e in parte già cominciata guerra dei dazi?
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