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D'Annunzio il priore in peccato di gola
Mongiello Pino

D'Annunzio il priore in peccato di gola

Editore: Arti Edizioni

Reparto: Letteratura italiana: testi

ISBN: 9788897724209

Data di pubblicazione: 15/05/2013


12,00€
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Sinossi

Un'immersione critica nella cultura, i gusti e il narcisismo di un uomo per cui tutto doveva essere citazione e simbolo, niente poteva essere comune, e tutto era preparato per ingannare gli sprovveduto visitatori. La stanza della Cheli, (in greco, la tartaruga) è dominata dal carapace di un'autentica tartaruga morta per indigestione di verbene nei giardini del Vittoriale, ed è l'unica rutilante di colori fra le tante pervase di penombra. Essa porta l'iscrizione «Intra me maneo»: allude al D'Annunzio chiuso al Vittoriale, ma il carapace richiama il dio Hermes che da esso ricavò la prima cetra, e ricorda agli ospiti che la frugalità è necessaria se vogliono una lunga vita. 
Intrecciato alle stanze, di cui ogni oggetto viene interpretato nei suoi simboli, corre il racconto del cibo. D'Annunzio era sobrio, frugale, ma nella sua grande cucina troneggiava una stufa in marmo di Carrara con fuochi di ghisa, un frigorifero elettrico e uno scaldavivande. C'era poi una fedelissima cuoca, Albina Becevello, chiamata dal vate Suor Albina, Suor Intingola, Santa Cuciniera, aiutata da alcune serve. All'Albina scrive: «Vendo la mia primogenitura per un ovo perfetto come il tuo, sublimato dalla salsa d'acciughe. Albina, risplendi in eterno nella costellazione dell'Ovo e nella nebulosa dell'Acciuga». Era la sua maniera di rendere intorno a sé tutto eccezionale, a cominciare dall'uovo. 
D'Annunzio amava i terzetti di pasta, dall'Abruzzo gli arrivava il parrozzo, dalla Calabria i panicilli. Era soprattutto goloso di frutta locale ed esotica, e ciò che meglio lo rappresentava era la melagrana, seguita dall'uva il cui grappolo gli richiama la «mammella gonfia di una dea, il nido selvaggio, il segreto bruno, l'umidità dell'amica. Ti ho mangiata nell'uva di Calabria». Nel «Libro segreto» si definisce: «Sono la persica di Tantalo, la melagrana di Persefone, il pomo di Atalanta, il favo nelle fauci del leone».
Tutte citazioni mitologiche: la pesca richiama il supplizio di Tantalo, dannato a vedere frutti profumati alla sua portata, ma inarrivabili perchè spazzati via da un vento improvviso. E D'annunzio era quel Tantalo che non poteva saziare la sua fame e sete di voluttà. Persefone è la figlia di Demetra, la dea delle messi, rapita da Ade, dio degli Inferi. Restituita per ordine di Zeus alla madre, Lei mangia un chicco di melagrana offertole da Ade: passerà così metà dell'anno con sua madre e metà di nuovo agli Inferi.
Il frutto esalta il perenne alternarsi della vita e della morte, l'inverno e il risveglio della primavera. La sensualità de «Il piacere» si manifesta nella frutta: «Hai mangiato mai certe confetture di Costantinopoli, morbide come una pasta. Fatte di bergamotto, di fiori d'arancio e di rose, che profumano l'alito per tutta la vita? La bocca di Giulia è una confettura orientale». Ma il dolce prediletto è la focaccia di frate Alzamabene, evidente appellativo di quell'organo che orgogliosamente chiamava la «catapulta».

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