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Editore: ABE
Reparto: Storia d'europa
ISBN: 9788872971680
Data di pubblicazione: 10/04/2024
Numero pagine: 184
Sono trascorsi oltre due secoli dalla definitiva scomparsa della peste, eppure questa malattia rappresenta ancora oggi il simbolo assoluto del morbo mortale. Il più spaventoso, il più drammatico, il più terrificante di tutti. Nell'evo antico la peste era sinonimo di flagello mortale, di una grave calamità, di una catastrofe inesorabile, portatrice di morte e di sventure. Era la punizione che gli dei imponevano agli uomini responsabili di aver trasgredito ai loro voleri. Anche nel Sannio questa piaga era temuta come il peggiore dei mali che potesse capitare in una comunità. E di questo il nostro territorio conserva ancora intatte e le sue tracce. «Fu la peste 1656» è un'iscrizione che si trova incisa alla base di un portale in pietra all'ingresso della chiesa parrocchiale di Pietraroja: un paesino montano della provincia di Benevento, poco più di 500 anime residenti sulle pendici del massiccio del Matese nell'Appennino meridionale. Questa epigrafe è un vero e proprio frammento di storia e conserva il ricordo di un periodo vissuto dalla popolazione sannita e di un evento, minaccioso e forte, che sconvolse l'intera società sannita. Saxa loquuntur, dicevano i latini: le pietre parlano. Nei secoli passati, infatti, gli eventi più importanti venivano spesso affidati alle lapidi, impressi nella pietra per sottrarli all'oblio e per consegnare il messaggio alla memoria storica. Era questo, d'altronde, uno dei pochi strumenti di informazione che i popoli avevano con il futuro. Forse tra i più efficaci. Ma, da cosa scaturisce la necessità di comunicare un evento così drammatico, come quello della peste, con una modalità così importante, come quella di scolpirlo nella pietra? Indubbiamente tra tutti i flagelli, quello della peste era vissuto dalla società di allora con un misto di angoscia, terrore e rabbia. La paura non riguardava solo la possibilità di una morte atroce, evento molto frequente, ma anche le sue conseguenze sociali e finanziarie. Il tormento più grande era quello di non potersi difendere; non c'erano rimedi in grado di combattere il terribile morbo; rimaneva solo l'angoscia costante di perdere la vita, i propri averi, gli affetti più cari. Contrarre la peste significava sostanzialmente morire. E morire da disperati, senza alcun conforto, senza la vicinanza dei familiari e il più delle volte senza la possibilità di una degna sepoltura. Per fortuna, col tempo, molte cose sono cambiate. Proprio nel campo dell'infettivologia, la scienza medica ha fatto progressi da gigante e molte malattie non fanno più paura come una volta. Tuttavia, la peste esiste ancora. Così come esistono la tubercolosi, il colera, la lebbra, l'Aids e tante altre malattie infettive. Il pericolo, inoltre, è sempre in agguato, come dimostra la recente pandemia da Sars-CoV2 (Severe acute respiratory syndrome-Coronavirus2), meglio conosciuta come Covid-19. La storia dell'uomo, infatti, è storia delle malattie. E tra tutte, la peste si è sempre dimostrata la più terribile emergenza sanitaria: una calamità che si abbatteva ciclicamente sulla popolazione. Nel corso dei secoli si sono succedute innumerevoli pestilenze, molte delle quali in grado di provocare un collasso sociale, come la "morte nera" nell'Europa del XIV secolo, responsabile del decesso di quasi un terzo della popolazione dell'intero continente e che fu alla base di importanti cambiamenti sociali e culturali. Nell'Italia meridionale e nel Sannio l'epidemia più devastante fu quella del 1656, responsabile di una vera e propria catastrofe demografica. Il terribile morbo soggiornò a lungo nel Mezzogiorno, anche perché la scienza medica si dimostrò completamente disarmata nei confronti della malattia. Con l'avvento degli antibiotici ed il miglioramento delle condizioni di vita, oggi la peste non rappresenta più lo spauracchio di una volta. Ma quali sono le attuali conoscenze scientifiche su questa malattia?
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