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Ecosistemi selvatici e porzioni di natura brada sono sempre più frequenti nelle città europee contemporanee. Si diffondono piante "invasive", che turbano il nostro sovranismo etnobotanico. Fitti brani di giungla prendono possesso dei parchi, così come dei tetti e delle facciate degli edifici più alla moda. Le città tendono a inselvatichirsi per le ragioni più diverse. Talvolta accade per effetto della latitanza di cura e progetto. Talvolta è invece per intenzione e lo spazio urbano diventa il campo di un rapporto tendenzialmente più mutualistico tra le società post-industriali e ciò che ci si ostina a chiamare "natura". In questo scenario, il progetto ricorre al selvatico per rigenerare aree in abbandono, progettare infrastrutture sostenibili, rivitalizzare spazi pubblici di pregio, migliorare l'impronta ecologica di nuovi insediamenti, suggerire nuove pratiche e rituali sociali, soddisfare il "desiderio di natura" degli abitanti. Questo libro da un lato esplora il valore proattivo dei paesaggi selvatici per migliorare la qualità urbana; dall'altro, si interroga sui rischi del selvatico come strumento di pratiche e politiche di verdolatria consensuale a buon mercato.
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