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Il tema del doppio, che Rank trasforma qui nel punto di partenza per l'indagine psicoanalitica, è un chiaro paradosso. Per alcuni aspetti sembra paradigmatico dell'esperienza umana, inciso nelle sue radici, universalmente presente da tempi immemorabili. Per altri aspetti è chiaro che va inquadrato storicamente, perché la sua popolarità e la sua fulminea diffusione risalgono al periodo romantico. Dopo aver introdotto il tema prendendo a modello un noto film dell'epoca. Lo studente di Praga, Rank concentra la sua analisi sulla straordinaria quantità di materiale offerta e tenta innanzi tutto di redigerne un catalogo, sia pur provvisorio. I numerosi esempi vanno da Hoffmann Chamisso, Andersen, Lenau, Goethe, Jean Paul, Heine, de Musset. Raimund, Maupassant, Wilde, Kipling ai più famosi «William Wilson» di Poe e «Goljàdkin» di Dostoevskij. All'inizio del XIX secolo questo tema è onnipresente e getta la sua ombra e la sua eco ben oltre la fine del secolo. Rank si dedica poi al materiale antropologico e redige un catalogo ugualmente meticoloso tratto dalle forme di superstizione, dai riti e dai tabù dei popoli primitivi, tutti fondati sull'idea del doppio. [...] Le storie incentrate sul doppio hanno tutte alcune caratteristiche strutturali comuni, possono però approdare a esiti diversi. Il soggetto, sempre maschile, si confronta col suo doppio, l'immagine di se stesso; questo confronto può condurre alla sparizione dell'immagine riflessa o dell'ombra, oppure a un patto; l'immediata conseguenza è una terribile angoscia, la dissoluzione della realtà del soggetto, la distruzione delle fondamenta del suo mondo. Solitamente, solo il soggetto può vedere il proprio doppio, che gli appare esclusivamente in privato, oppure solo lui può percepirne la presenza. Inoltre il doppio produce due effetti apparentemente contraddittori. Da una parte opera ai danni del soggetto, gli appare nei momenti meno opportuni, lo condanna al fallimento. Dall'altra realizza i suoi desideri più reconditi o rimossi, agisce come il soggetto non oserebbe mai, o come la sua coscienza non gli permetterebbe mai di agire. Se il finale è tragico, il soggetto uccide il proprio doppio ma, uccidendolo, uccide se stesso, non sapendo che la sua reale sostanza e il suo più autentico essere si concentrano in lui. «Tu hai vinto e io soccombo,» dice il doppio di Wilson nel racconto di Poe « ma da questo momento anche tu sei morto, morto per il mondo, per il cielo e per la speranza! Tu vivevi in me, e ora che io muoio, puoi vedere in me la tua immagine: uccidendomi ti sei ucciso.» (Dallo scritto di Mladen Dotar)
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