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La Vittoria Alata del Capitolium di Brescia e il Pugilatore a riposo del Quirinale, due grandi capolavori dell'antichità miracolosamente salvati dal destino frequente e tragico delle statue di bronzo greche e romane: la rifusione per il riciclaggio del metallo. Il volume propone un originale confronto culturale questi due capolavori assoluti dell'arte universale, un dialogo tra due mondi lontani: il Pugilatore, che interpreta pienamente la tensione verso il successo sportivo, e la Vittoria Alata, che esprime il valore della vittoria sul campo di battaglia alla quale l'arte romana ha dato una forma propria di grande fortuna nel tempo. Le due opere hanno cronologie diverse (probabilmente I secolo a. C. il Pugilatore e metà del I secolo d. C. la Vittoria Alata) e differenti storie della prima parte della loro "vita": l'atleta certamente esposto in uno spazio pubblico (forse in Grecia) e oggetto di ammirazione come indicano le superfici consunte dalle carezze degli ammiratori, la Vittoria Alata probabilmente esposta nel tempio a Brescia come ex voto donato alla città dall'imperatore Vespasiano. Entrambe furono scoperte nel corso di scavi archeologici condotti nell'Ottocento e da quel momento divennero oggetto di attenzioni e cure e vennero incluse in collezioni museali pubbliche. Il tema astratto che lega questi due straordinari bronzi, nell'assenza e nella personificazione, è quello del successo, di un esito positivo, della vittoria appunto. Per il Pugilatore è il responso dell'arbitro al termine dello scontro nel quale si è strenuamente difeso senza esclusione di colpi, come indicano le ferite e gli ematomi sapientemente resi nel bronzo con altissima perizia tecnica; per la Vittoria Alata è la designazione del vincitore sul campo di battaglia e la ricostituzione della pace, la cessazione del conflitto. L'uno attende le parole del giudice, verso il quale rivolge lo sguardo provato, l'altra omaggia il vincitore militare affidando al bronzo dello scudo, che doveva trattenere in origine nelle mani, il suo nome.
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