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Contemporaneo di Dante, Meister Eckhart divise la sua vita fra la predicazione e l'insegnamento della teologia, di cui fu magister a Parigi. Come per Dante, si può dire che la sua opera abbia avuto una funzione fondatrice in rapporto a una lingua. È appunto nei suoi sermoni in volgare che la lingua tedesca appare per la prima volta innervata dai termini della speculazione metafisica, che ritroveremo sino a Hegel e a Heidegger. Si può dire che tutta la grande filosofia tedesca, a partire dal Rinascimento, persegua un continuo e più o meno occulto dialogo con Eckhart. Ma in lui la potenza della riflessione si offre quasi come un dono della sua sovrabbondante vocazione religiosa. Con una naturalezza che non finisce di stupire, Eckhart illumina nei suoi Sermoni le immagini elementari, quelle che appartengono all'esperienza anche del più umile tra i suoi ascoltatori, e insieme le collega e articola senza perdere nulla della sua tensione speculativa. È propria di Eckhart, come dei più grandi mistici, la massima concretezza, la virtù di seguire la vita e la crescita delle immagini con l'amorosità di un giardiniere. Ed è propria di Eckhart anche l'audacia del «distacco», la capacità di guidare la teologia negativa verso la vertigine del nulla, con un gesto radicale che ricorda certi testi buddhisti. Allora lo slancio estatico si spinge sino all'estremo desiderio di liberarsi da Dio: «Perciò preghiamo Dio di diventare liberi da Dio, e di concepire e godere eternamente la verità là dove l'angelo e la mosca e l'anima sono uguali: là dove stavo e volevo quello che ero, ed ero quel che volevo».
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