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Editore: Editori Paparo
Reparto: Arti
ISBN: 9788831983884
Data di pubblicazione: 13/01/2023
Numero pagine: 460
«Questo volume non è un catalogo come gli altri, contiene anche gli atti del convegno di chiusura e si apre alla digitalizzazione, avviata proprio con la mostra. Depositi, storie ancora da scrivere è stato un vero e proprio viaggio nella storia, caratterizzato dall'originalità, dall'emozione delle scoperte e delle sorprese che caratterizzano ogni viaggio. Alcuni visitatori si sono divertiti a riconoscere, nelle opere esposte e poco conosciute, la storia che queste potevano raccontare, traendo delle conclusioni, più di qual volta insolite, dai confronti proposti dai curatori. Altri hanno ipotizzato nuove attribuzioni; altri ancora, scoraggiati, hanno preferito non tentare di ricostruire alcuna ipotesi, accettando una storia incerta, disordinata e senza trama. Probabilmente la storia non esiste se non viene scritta, analizzata e riorganizzata da storici, filosofi, insegnanti e musei. Come possiamo allora credere nella storia, nel suo corso o nel suo significato? Credendo nella linearità della storia, la quale tende verso un fine ultimo, siamo tutti hegeliani senza saperlo. Questo fine ultimo potrebbe essere la manifestazione del Divino? Ma Dio non è la fine della storia, ironizza Stephan nell'Ulisse di Joyce, è solo un grido in una strada. La storia, ci insegna Shakespeare nel lamento di Macbeth, è il racconto di un pazzo, narrata con gran rumore e furore e non significa nulla. L'eco delle sue parole, mentre scrivo questa breve prefazione, assume una forma terribile quando, nello stesso continente europeo, si rinnova, come se la storia non potesse insegnare nulla, non conservasse nulla, il dramma che ha ucciso tante persone e distrutto considerevolmente uno dei patrimoni artistici più belli e antichi dell'umanità. Uscire dal disordine è tuttavia l'unica scelta possibile, la nostra condanna e la nostra libertà: il sogno di un grande museo che racconti tutta la nostra storia, con la sua poesia, le sue incertezze, ma senza la severità di un linguaggio altisonante che si è rivelato estremamente dannoso». (Sylvain Bellenger)
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