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Da circa vent'anni, un vento di novità percorre l'antropologia. Alcuni autori propongono di adottare un atteggiamento che chiamano «ontologico»: la polvere 'aché' non «rappresenta» il potere, dicono, ma «è» potere. Il lavoro dell'antropologo non sarebbe più quello di interpretare ciò che incontra sul campo alla luce delle categorie scientifiche occidentali (società, scambio economico, potere), ma di entrare nei mondi alieni che gli si aprono. Non più «noi» che interpretiamo «loro», ma loro che ci trasformano. E c'è chi pensa che la stessa parola «cultura», ormai superata, debba essere sostituita da mondi plurali e da ontologie multiple, reali quanto la «nostra» ontologia, nella quale, però, la natura è una e identica per tutte le differenti culture. Prendere sul serio le culture indigene vuol dire cioè assumerle come mondi, con le loro leggi e le loro realtà.
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