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Il libro muove da una domanda che si impone con urgenza alle democrazie costituzionali: che rilievo giuridico attribuire alla diversità? La ricerca si confronta con questo tema concentrandosi su una precisa diversità, su una precisa rivendicazione: la richiesta di trattamento differenziato, su base culturale, che viene avanzata in giudizio da un individuo appartenente a un gruppo minoritario. Dopo aver delineato le coordinate teorico-concettuali del governo della differenza, l'analisi si concentra sul dato fenomenico, comparando le esperienze di Italia e Regno Unito, con l'obiettivo di individuare e comprendere i percorsi argomentativi degli organi giurisdizionali italiani e inglesi chiamati a pronunciarsi su quelle istanze. Nonostante le differenze di contesto normativo, politico e sociale, nonché di sistema e tradizione giuridica, l'indagine rivela come i giudici italiani e inglesi rispondano alla diversità rivendicata nelle aule giudiziarie con il medesimo approccio: evitando di affrontare la complessità che involge la diversità culturale manifestata all'interno del processo. In assenza di indicazioni provenienti dal piano legislativo, i giudici, privi della formazione necessaria e, tuttavia, obbligati a pronunciarsi sulle istanze loro presentate, si trovano disorientati e soli di fronte ai delicati, inediti, difficili dilemmi sollevati da questi casi. Diventa quindi necessario, e non più eludibile, elaborare e promuovere meccanismi che consentano di costruire una giurisdizione che tenga conto della dimensione culturale, capace di combinare in termini costituzionalmente orientati la garanzia dell'eguaglianza e della diversità con la tutela dei diritti dei più vulnerabili.
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