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Dei quattro libri di Epinici - i canti per gli atleti vincitori - che è tutto quello che sopravvive dell'opera di Pindaro, il primo raccoglie le Olimpiche, le odi scritte per il più antico e prestigioso dei giochi panellenici. Sono componimenti dalla struttura piuttosto uniforme: alle notizie sul vincitore e sulla sua famiglia seguono una rievocazione mitologica e una serie di sentenze che esprimono le convinzioni personali del poeta. Profeta di una concezione religiosa e solenne della lirica, nelle Olimpiche Pindaro è allo stesso tempo il cantore che celebra l'agone, immortalando l'eccellenza atletica e la fama delle belle imprese, e il saggio che esalta gli ideali aristocratici, fondati sulle antiche virtù eroiche. Le qualità individuali - la bellezza, la prestanza fisica, la ricchezza e la fama - sono innate e concesse dagli dei, ma sono vane se non interviene il poeta a celebrarle e divulgarle con la sua arte. Considerato dagli antichi inimitabile nello stile, ricco di allusioni e metafore, Pindaro fu particolarmente apprezzato dai poeti dell'Ottocento, dal Goethe degli inni giovanili al Foscolo dei Sepolcri, dal Leopardi dei canti civili a Hölderlin, che ne tradusse tutte le Pitiche e parte delle Olimpiche.
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